La dipendenza da esercizio fisico, sebbene non sia ancora inclusa nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5), è stata definita come una dipendenza comportamentale (Demetrovics e Griffiths, 2005) in quanto si manifesta con caratteristiche distintive di questa problematica (preminenza, cambiamenti nel tono dell’umore, tolleranza, astinenza, conflitti personali e ricadute).

Gli autori che hanno studiato questo fenomeno hanno distinto due forme in cui può presentarsi: nel caso in cui la dipendenza da esercizio si manifesti in assenza di altre problematiche psicologiche si parla di dipendenza primaria da esercizio fisico; nel caso (più frequente) in cui si manifesti come conseguenza di altre disfunzioni psicologiche (tipicamente il disturbo del comportamento alimentare – DCA) si parla di dipendenza secondaria.

Il motivo che spinge la persona dipendente dall’esercizio fisico all’allenamento eccessivo, nel caso in cui si tratti di una forma primaria, è generalmente evitare la percezione di emozioni, sentimenti o pensieri “negativi” (Szabo, 2010) anche se difficilmente la persona dipendente è consapevole di questo processo.

La dipendenza si configura quindi come una “fuga” da una condizione stressogena, che causa disagio in maniera persistente e che la persona sente di non poter fronteggiare altrimenti.

Nel caso in cui l’esercizio fisico eccessivo si associ invece ad un disturbo del comportamento alimentare (in un quadro di dipendenza secondaria), la motivazione soggiacente sarà piuttosto la perdita di peso (solitamente insieme a una dieta rigida o a restrizioni alimentari).

È evidente quindi che la dipendenza primaria e secondaria abbiano una eziologia diversa, sebbene si manifestino con sintomi e conseguenze analoghe.

In letteratura esiste ad oggi un largo dibattito a riguardo della legittimità clinica della diagnosi di dipendenza primaria da esercizio fisico, sebbene esistano casi documentati (Griffiths, 1997) in cui i disturbi della alimentazione sono del tutto assenti.

Oltre alla diagnosi differenziale appena descritta, al fine di stabilire la sussistenza clinica di una dipendenza primaria da esercizio fisico, è inoltre necessario esaminare attentamente le caratteristiche, la frequenza e l’intensità dei sintomi di astinenza, in quanto sensazioni psicologiche negative sono riportate da tutti coloro che fanno esercizio fisico regolarmente quando non possono farlo per qualche motivo (Szabo et al., 1996).

L’intensità dei sintomi astinenziali costituisce un fattore cruciale per distinguere chi si allena regolarmente da chi dipende dall’esercizio.

COMORBILITÀ NELLA DIPENDENZA DA ESERCIZIO FISICO

Vi è una stretta associazione tra la dipendenza da esercizio fisico e i disturbi della alimentazione (Sussman et al., 2001). Anche i disturbi depressivi e i disturbi d’ansia sono spesso osservabili in comorbilità con questo fenomeno.

Se svariati studi hanno dimostrato che i comportamenti patologici nell’alimentazione accompagnano spesso (se non sempre) livelli eccessivi di attività fisica, è anche vero che i soggetti con dipendenza da esercizio possono presentare eccessiva preoccupazione per la loro immagine corporea, il peso ed il controllo della dieta (Blaydon e Lindner, 2002).

Questa coesistenza di patologie rende spesso difficile stabilire quale sia il disturbo primario.

CAUSE DELLA DIPENDENZA DA ESERCIZIO FISICO

Ipotesi fisiologiche

Secondo l’ipotesi dello “sballo del corridore”, in seguito all’allenamento intensivo nella corsa, i corridori non avvertono fatica né si sentono esausti ma piuttosto sperimentano un intenso senso di euforia descritto come “sensazione di volare” o di poter “compiere movimenti senza sforzo”. Questa sensazione è stata attribuita all’attività cerebrale delle beta-endorfine che si attivano proprio durante una sessione di corsa.

Secondo un’altra ipotesi, basata sulle ricerche compiute da Thompson e Blanton (1987), l’effetto dell’allenamento si accompagna a una riduzione della attività del sistema simpatico a riposo e quindi a una diminuzione generale della vigilanza (avvertita soggettivamente come sonnolenza e astenia). La riduzione della vigilanza viene fronteggiata dagli sportivi tramite l’esercizio fisico, ma, poiché gli effetti di questo sono solo temporanei, sono sistematicamente necessarie ulteriori sessioni di allenamento.

Secondo una terza ipotesi, la piacevole condizione psicologica caratterizzata dagli effetti rilassanti e ansiolitici dell’esercizio fisico spinge le persone a riprendere ad allenarsi appena cominciano a sentirsi nuovamente ansiose.

L’aumento dell’ansia può comportare una maggiore necessità di fare esercizio e quindi sessioni di allenamento sempre più frequenti ed intense. Nelle situazioni di stress, la frequenza, la durata e l’intensità dell’esercizio possono aumentare progressivamente come antidoto a stress ed ansia (ossia si sviluppa la condizione chiamata “tolleranza”).

Ipotesi psicologiche

L’ipotesi della regolazione affettiva riguardo alla dipendenza da esercizio fisico suggerisce che l’esercizio fisico abbia un duplice effetto sul tono dell’umore (Hamer e Karageorghis, 2007): aumenta le emozioni positive e contribuisce al miglioramento del tono dell’umore (inteso come stato psicologico che si protrae per molte ore o giorni) e riduce l’impatto delle emozioni spiacevoli.

Tuttavia la regolazione della affettività tramite l’allenamento induce effetti solo temporanei: in seguito a periodi di astensione dall’esercizio possono svilupparsi gravi sensi di privazione o veri e propri sintomi astinenziali che trovano sollievo solo con la ripresa dell’esercizio.

Tipicamente, tra una sessione di allenamento e l’altra, si cominciano a ridurre i periodi di riposo per prevenire l’insorgenza dei sintomi di astinenza. Le persone che svolgono regolarmente esercizio fisico possono essere motivate dal rinforzo negativo appena descritto (evitare i sintomi di astinenza) o dal rinforzo positivo (lo “sballo del corridore”).

L’esercizio fisico motivato dal rinforzo negativo è tipico delle persone con dipendenza: in questi casi la persona sente che “deve” farlo, non che “vuole”.

PSICOTERAPIA DELLA DIPENDENZA DA ESERCIZIO FISICO

Due interventi psicoterapeutici si sono dimostrati efficaci nel trattamento di vari tipi di dipendenze comportamentali e da sostanze: il colloquio motivazionale (Miller e Rollnick, 2002) e la psicoterapia Cognitivo-Comportamentale.

Non vi sono attualmente trial clinici che abbiano valutato la loro utilità nella dipendenza da esercizio fisico, ma questi approcci possono essere efficaci anche rispetto a questo tipo di dipendenza (Rosemberg & Feder, 2014).

Nella dipendenza da esercizio fisico, così come in altre condizioni, la diagnosi accurata e la diagnosi differenziale sono i fondamenti di un efficacie piano terapeutico: è necessario considerare i disturbi concomitanti e vanno trattate tutte le condizioni coesistenti.

La presenza di altri disturbi associati può infatti instaurare un circolo vizioso che peggiora la condizione del paziente. Inoltre è importante appurare che non sia presente un disturbo di personalità poiché, in questi casi, una terapia mirata per il disturbo di personalità può essere risolutiva per la dipendenza da esercizio.

È importante che il trattamento chiarisca cosa abbia causato la comparsa della dipendenza e quali fattori e situazioni determinino il persistere del disturbo. Inoltre si deve lavorare con il paziente affinché sviluppi comportamenti alternativi più consoni e strategie efficaci che sostituiscano l’esercizio fisico eccessivo.

Un tipico obiettivo del trattamento psicoterapico può essere il ritorno a un esercizio moderato o controllato. In alcuni casi si può raccomandare la messa in atto di forme differenti di allenamento.

Infine, anche il ricorso a programmi psico-educazionali può essere una componente efficace del trattamento della dipendenza da esercizio fisico, in quanto spesso sussiste una conoscenza insufficiente delle ricadute negative dell’esercizio estremo sulla salute, del meccanismo di adattamento dell’organismo all’esercizio e la della necessità di riposare tra una sessione di allenamento e l’altra.

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