Il concetto di dipendenze comportamentali è un concetto nuovo nella psichiatria. È stato infatti nel 2013, con la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) che al gruppo delle diagnosi psichiatriche ufficiali si è aggiunta la denominazione “dipendenze patologiche comportamentali”.
I nuovi sviluppi delle scienze neurologiche sostengono una teoria neurobiologica unitaria che considera analogamente le dipendenze da sostanze e quelle comportamentali. In linea con questa visione, il DSM-5, per esempio, ha proposto la classificazione del “Disturbo da dipendenza patologica da Internet”, diagnosi che condivide caratteristiche comuni al Disturbo da Dipendenza da Sostanze, come ad esempio il ruolo della dipendenza patologica nel modulare il tono dell’umore, i fenomeni di astinenza e tolleranza, la presenza di recidive, la difficoltà a sospendere il comportamento di abuso nonostante la compromissione del funzionamento individuale.
Mark Griffith (2005) definisce una dipendenza comportamentale sulla base di sei criteri: preminenza (il comportamento tende ad assumere la maggiore rilevanza nella vita della persona, a discapito di altri pensieri, sentimenti e azioni), influenza sul tono dell’umore (conseguenze emotive del comportamento di dipendenza), tolleranza (intensificarsi del comportamento per indurre effetti di sufficiente intensità), sintomi da astinenza (stati d’animo o conseguenze fisiche spiacevoli, conseguenti dalla messa in atto del comportamento), conflitto (conflitti interpersonali derivanti dalla dipendenza instauratasi o incompatibilità con altri compiti o attività personali) e recidiva (presenza di ricadute plurime nel disturbo dopo fasi di sospensione).
Un aspetto peculiare delle dipendenze comportamentali è che esse coinvolgono pulsioni “normali” (come sesso, cibo, amore, denaro…) che divengono però patologiche nella misura in cui raggiungono un certo livello di eccesso e di pericolosità per la persona. Il carattere distintivo della dipendenza comportamentale resta sempre e comunque l’incapacità dell’individuo di mitigare il comportamento nonostante le conseguenze negative che osserva nel suo funzionamento quotidiano.
I comportamenti e i processi legati alla dipendenza comportamentale sono volti a dare piacere, rappresentano spesso una via di uscita dalla sofferenza emotiva o fisica e sono caratterizzati dalla incapacità a controllare la messa in atto del comportamento e l’insorgere di importanti conseguenze negative per la vita della persona.
La terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) è il trattamento più indicato per le dipendenze comportamentali. In questo approccio vengono analizzate le catene tra pensieri e comportamenti messi in atto dal paziente al fine di giungere a strategie gestionali più proficue: i pazienti si impegnano a conoscere le caratteristiche delle loro dipendenze, ad individuare e gestire al meglio le situazioni ad alto rischio ricaduta, a attuare comportamenti alternativi più consoni. Gli “errori” sono analizzati come esperienze da cui trarre insegnamento, per consolidare i risultati raggiunti e perfezionare la prevenzione di future ricadute. L’approccio Cognitivo-Comportamentale prevede anche il coinvolgimento di familiari ed affini, al fine di promuovere un completo ripristino del benessere del paziente.